I Precursori
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Nell’imminenza dell’entrata in guerra, nel 1914, furono creati reparti di "Esploratori" presso ogni reggimento di Fanteria, destinati a compiere azioni di sorpresa contro gli avamposti e dietro le prime linee nemiche.
La guerra di trincea e le siepi di reticolati imposero poi la creazione di reparti "tagliafili", organizzati in piccole squadre, con caschi d’acciaio muniti di barbozza per la difesa del volto, con corazza a piastre, stivaloni e ginocchiere. Tali reparti ebbero il nome di "Volontari Esploratori" e, tra i soldati, di "Compagnie della Morte".
Successivamente all’entrata nel conflitto e fin dai primi mesi di guerra, il Comando Supremo aveva prescritto ai reggimenti di conferire, a titolo d’onore, la qualifica di "Arditi" a quanti si fossero maggiormente distinti per decisione e per coraggio e di riunirli in plotoni speciali all’occorrenza.
Le prime compagnie di Arditi nacquero quando, per la lunga guerra di trincea, logoratrice e snervante, si era fatta affannosa la ricerca del modo con cui uscire dalla stasi inconcludente. Così, a mano a mano che si svolgevano le azioni e avvenivano gli episodi nei quali i soldati potevano distinguersi (offrendosi spontaneamente per porre i primi tubi di gelatina nei reticolati del nemico, per far parte di pattuglie con missioni pericolose, per partecipare a qualche audace colpo di mano) ciascuno dei nostri reggimenti poté ben presto fare assegnamento su un nucleo sempre più numeroso di soldati "Arditi".
Nell’ottobre 1915, con l’autorizzazione del Comando Supremo, il Capitano Cristoforo Baseggio costituì in Valsugana una compagnia autonoma di Esploratori Arditi, che ebbe la forza di 13 ufficiali, 450 militari di truppa e 120 conducenti e che si distinse subito in diverse operazioni di pattugliamento e in colpi di mano. Memorabile, a tal proposito, fu l’azione del 6 aprile 1917 a S.Osvaldo, dove gli Arditi lasciarono sul campo 190 Caduti.
Il via alla costituzione di quella che fu a tutti gli effetti una nuova Specialità della Fanteria è costituito probabilmente da una Circolare del Comando Supremo in data 14 marzo 1917, nella quale si illustrano le caratteristiche delle Sturmtruppen austro-ungariche al fine di stimolare la nascita di analoghe unità in campo italiano. Peraltro, i Reparti d’assalto che da allora iniziarono a nascere avevano caratteristiche di indubbia originalità. Infatti, per quanto derivassero dalle Sturmtruppen come impostazione generale (vale a dire come unità d’urto con le quali ovviare all’insufficiente addestramento della massa della Fanteria), avevano con la Regina delle Battaglie un rapporto differente. Le Sturmtruppen, infatti, fecero sempre parte integrante delle unità di Fanteria che le esprimevano, mentre i Reparti d’assalto nacquero e si svilupparono come corpo a sé stante, differenziato dalla Fanteria e caratterizzato da uno spirito di corpo elevatissimo che ne esaltava le possibilità di sfruttamento.
Con una circolare del 26 giugno 1917 il Comando Supremo dispose la formazione di "reparti d’assalto" nell’ambito di ognuna delle Armate. La prima a dare riscontro a tale ordine fu la 2^ Armata del Generale Capello, sotto la spinta propulsiva del Generale Grazioli, Comandante della Brigata Lambro, e del Tenente Colonnello Giuseppe Alberto Bassi, Comandante di un battaglione di fanteria che si era già distinto nella ricerca e sperimentazione di nuove tecniche di combattimento. Quest’ultimo, costituì, a Russig, nelle retrovie di Gorizia, una compagnia speciale che nel corso di una dimostrazione ottenne l’ammirato plauso del Gen. Capello stesso. Successivamente, dopo una serie di ricognizioni, fu individuata una nuova sede per l’unità, sulla riva destra del Natisone, a Sdricca di Manzano. In questa località, presso la quale era possibile dare il massimo realismo agli addestramenti, il I Reparto d’assalto ottenne il battesimo ufficiale il 29 luglio del 1917, alla presenza del Re (la data rimase a celebrare la nascita del Corpo).
A Sdricca, che rappresentò quindi la "culla" della nuova Specialità, l’addestramento era condotto con serietà e spregiudicatezza: molta ginnastica, lotta corpo a corpo con armi e senza, lezioni di lancio di bombe a mano e tiri con fucile e mitragliatrice. L’iter addestrativo culminava con l’assalto ad una "collina tipo", che gli Arditi dovevano assaltare sotto il fuoco di mitragliatrici e cannoni, in un clima di spiccato realismo.
Le armi di elezione degli Arditi per il combattimento ravvicinato furono rappresentate dal pugnale e dal petardo Thevenot. Quest’ultimo fu scelto dal Bassi perché era una bomba a mano dal limitato effetto brisante ma dal forte scoppio, ideale per l’uso in offensiva perché limitava i rischi per l’assaltatore ma provocava panico sul bersaglio. La fama di maestria nell’uso di queste armi, concepite e sviluppate per violente azioni a contatto, conferirono agli Arditi una sinistra fama presso le fanterie nemiche, che li temevano più di ogni altro tipo di unità. I reparti d’assalto furono creati non a integrazione della Fanteria, della quale si percepiva un insufficiente livello addestrativo — nonostante le impareggiabili prove di spirito di sacrificio ripetutamente fornite — quanto in marcata contrapposizione al normale combattente. Pertanto, fu curata la nascita di uno specifico spirito di corpo che sottolineasse l’idoneità degli Arditi ad assolvere ai più difficili compiti della guerra di trincea, offrendo un modello positivo ed attivo di combattente, da contrapporre alla mentalità passiva tipica della guerra di posizione che si era affermata. Per marcare inequivocabilmente tale differenza, agli Arditi furono riservati un diverso trattamento ed anche una diversa divisa. Gli Arditi, infatti, furono esentati dai turni in trincea, ebbero migliore vitto ed alloggio, un soprassoldo e, soprattutto, un regime disciplinare meno rigido e formale. L’uniforme era costituita da giubba aperta con fiamme nere sul bavero e maglione a collo rovesciato al posto del fastidioso colletto chiuso, fez come quello dei bersaglieri ma di colore nero e pantaloni all’alpina, mentre l’equipaggiamento era rappresentato da materiali più comodi e leggeri.
Un ulteriore motivo di decisiva differenziazione dalle altre Specialità fu costituito dal livello motivazionale che gli Arditi dovevano esprimere fin dalla loro entrata nel Corpo. Infatti, il passaggio ai battaglioni d’assalto non poteva avvenire che dietro presentazione di esplicita domanda dell’interessato e una volta accertata l’idoneità del militare, a seguito di un periodo di prova.
E’ significativo osservare che lo spirito di corpo che venne così a crearsi, fu spesso motivo di sospetto ed invidia da parte degli estranei alla Specialità. In particolare, in linea con un consolidato malvezzo ripropostosi anche nel recentissimo passato a danno delle migliori unità della Forza Armata e caratterizzate a loro volta da elevato spirito di corpo (i paracadutisti), non furono risparmiate critiche al comportamento dei reparti d’assalto a seguito della sciagurata ritirata di Caporetto.
In sostanza, chi si era dovuto macerare a lungo in invidie e frustrazioni causate dalla nascita della nuova, privilegiata e stupenda Specialità degli Arditi, non seppe rinunciare alla splendida (per lui) occasione che la sventura della ritirata gli dava per rivalersi nei confronti di una realtà che percepiva come a lui estranea. Gli Arditi vennero, infatti, accusati di episodi di indisciplina e, addirittura, di sopraffazione nei confronti della popolazione e dei prigionieri. Al contrario, i Reparti d’Assalto si comportarono sempre benissimo, senza sfasciarsi come altre unità e sostenendo — spesso da soli — le più rischiose e delicate fasi della ritirata, tornando in linea regolarmente sui Grappa.
Gli Arditi di Bassi ebbero il battesimo del fuoco durante la battaglia della Bainsizza il 18 e 19 agosto 1917, quando il I Reparto d’Assalto ebbe il compito di forzare l’Isonzo a Loga ed Auzza, conquistando Monte Fratta, per aprire la strada alla 22^ Divisione del XXVII Corpo d’Armata. Successivamente, combatterono sul S.Gabriele e sul S. Daniele, riportando grandi affermazioni al prezzo di gravissime perdite.
Poco dopo la nascita, e prima di entrare in combattimento, gli Arditi di Bassi divennero un punto di riferimento per tutto l’Esercito. Pertanto, il Comando Supremo il 10 agosto ordina alla l^, 3^ e 4^ Armata di inviare Ufficiali osservatori presso Sdricca per trarre ammaestramenti sulle analoghe unità da creare nell’ambito di tali Grandi Unità. Come conseguenza, la 3^ Armata predispose aree addestrative sul tipo di Sdricca a Borgnano, Cormons e Medea, sotto gli ordini del Tenente Colonnello Pavone, dove nacquero il XX, XXI e XXII Reparto. La 4^ Armata, invece, organizzò un campo addestrativo a Zortea, dove nacque il IV Reparto, che diede successivamente vita al V, VI, VII e VIII. I Reparti della IV Armata, peraltro, non furono caratterizzati, all’inizio, dallo spirito degli altri reparti di Arditi e anche sotto il profilo disciplinare la differenza con il modello originale di Sdricca era marcato.
Dopo la disfatta di Caporetto, il VI reparto della 4^ Armata si era ritirato in buon ordine dalla zona Carnia, avendo anche assorbito i resti di altri due piccoli reparti. La riorganizzazione del dopo ritirata lo riassegnò al IX Corpo di Armata per il quale, sul Grappa, gli Arditi condussero un’azione sull’Asolone per catturare prigionieri, il 15 gennaio 1918. Non sembra che la situazione del reparto (di stanza a Pove) fosse brillante. La disciplina era allentata anche tra gli Ufficiali e le dotazioni dell’unità erano scarse. Anche sotto il profilo addestrativo la situazione lasciava a desiderare e vi era una marcata carenza di personale. A febbraio, il comando fu assegnato ad un giovane ed energico Ufficiale, Maggiore Giovanni Messe, che rilanciò l’addestramento e ripianò le carenze logistiche. Reimpostò l’addestramento sulla base delle esperienze di Sdricca, mediante molta ginnastica, esercitazioni di tiro ripetute e frequenti, esercitazioni a fuoco con assalti sotto "l’arco delle traiettorie". Tale ritmo addestrativo, che provocò un morto, ottenne i risultati voluti, caratterizzando il reparto per una sagace disciplina all’italiana, quasi completamente basata sulla stima e l’affetto per il superiore. Tale reparto cambiò numerazione e, abbandonato il VI, diede vita al IX Reparto d’Assalto che si copri successivamente di gloria sul Grappa nel 1918.
Il IX Reparto in combattimento.
Nella battaglia del giugno 1918 i reparti d’assalto ebbero sorti differenziate. Nove di essi erano passati a formare la nuova 1^ Divisione d’Assalto, mentre altri non furono raggiunti dall’offensiva austriaca. Una decina, invece, combatterono nell’ambito dei rispettivi Corpi d’Armata con funzioni di riserva o per i contrattacchi. Da quello che è stato tramandato, sugli Altipiani si battè valorosamente il LII Reparto d’Assalto "fiamme verdi", in testa alla 14^ Divisione per la riconquista di Costalunga. Sul Grappa, le penetrazioni austriache furono fermate dal IV e VI Reparto sull’Asolone e sul Pertica, e dal IX sul Fagheron, Fenilon e Col Moschin. Sul Solarolo si battè il XVIII Reparto, sul Montello il XXVI e il XXVII furono gettati contro il nemico che aveva sfondato le linee italiane. Sul basso Piave operò la 1^ Divisione d’assalto (Divisione speciale "A") e si distinse per eroismo il XXIII reparto del maggiore Allegretti (il reparto fu decorato di MOVM), fino a ridursi a un centinaio di uomini. Altri reparti che si distinsero in tale zona furono il XI, il XXV e il XXVIII. Quest’ultimo, comandato dal Capitano Vivaldi-Pasqua, fu lanciato la sera del 15 giugno contro le colonne austriache sul basso Piave e fu poi sacrificato nella difesa della linea davanti a Villa Premuda, senza rifornimenti e senza complementi. Gli Arditi si batterono anche a mani nude, rimanendo in 200 uomini degli 800 iniziali, fino a quando arrivò la 1^ Divisione d’Assalto al comando del Generale Ottavio Zoppi. Tale Divisione avrebbe dovuto far parte del Corpo d’Armata d’assalto al comando del Generale Grazioli, assieme alla Divisione cecoslovacca del Generale Graziani. Ma quando si scatenò l’offensiva austriaca del 15 giugno, la Divisione cecoslovacca fu inviata in rinforzo alla 1^ Armata, mentre la Divisione d’assalto fu inviata in rinforzo alla 3^ Armata e fu impiegata per fermare la penetrazione austriaca nel basso Piave a Fossalta di Piave. Il Generale Zoppi lamentò, più tardi, l’intempestività di questo impiego della Divisione che fu spesa frettolosamente sotto l’incalzare della pressione nemica, riportando risultati di alleggerimento delle altre unità apprezzabili ma sicuramente inferiori a quelli che si sarebbero ottenuti con una scelta più oculata del momento ideale per lanciarla in azione.
Per quanto riguarda più nel dettaglio il IX reparto, c’è da osservare che l’offensiva austriaca sul Grappa conseguì inattesi successi sul versante occidentale, sfondando le difese del IX Corpo del Generale de Bono. A mezzogiorno del 15 giugno, le colonne austriache avevano occupato la posizione avanzata del Col del Miglio, poi Col Moschin, Col Fenilon e Col Fagheron. La situazione era gravissima e suscitò un forte allarme nei Comandi italiani, perché gli Austriaci quasi si affacciavano sulla pianura veneta. Non erano, però, in condizioni di alimentare una penetrazione superiore alle previsioni, mentre le artiglierie della contigua 6^ Armata e quelle del IX Corpo di Armata aprivano un formidabile fuoco di sbarramento sulle posizioni perdute. Il mattino del 15 giugno 1918 il IX Reparto d’Assalto saliva da Pove del Grappa, dove aveva l’acquartieramento ed i campi di addestramento, e si recava a Valletta dei Pini (Noselan). Successivamente raggiungeva Casare di Col Campeggia, dove riceveva l’ordine di portarsi a Col del Gallo a disposizione della Brigata Basilicata che presidiava la divenuta prima linea dopo lo sfondamento da parte austriaca del Col Caprile, Col Moschin, Col Fenilon, che aveva portato avanguardie fino al Col del Gallo ed una punta fino a Ponte San Lorenzo, col grave rischio di rimanere accerchiati. Dopo un’ora di celere marcia il IX Reparto d’Assalto si lancia contro il nemico asserragliato sulle posizioni di Palazzo Negri - Casa del Pastore - Casara dei Briganti. L’ordine era tassativo: respingerlo e riconquistare la linea Col Fagheron, Col Fenilon, Col Moschin.
Gli arditi perdono in questo frangente il Cap. Pinca (l^ cp.). La 2^ cp. sale alla conquista di Col Fagheron ed una parte si porta verso la chiesa di San Giovanni riuscendo a stabilire il collegamento con la Brigata Calabria mentre altri bloccano gli austroungarici nelle caverne sottostanti la chiesa. Per effetto di queste operazioni vengono riconquistate la q. 1318, le trincee che si uniscono al Col Fagheron e tutta la linea che corre verso Col Spiazzoli. Nel frattempo le pattuglie che si erano portate verso Col Fenilon – Col Moschin riferiscono che le due posizioni erano tenute saldamente dal nemico. Alle 20:25 Il Comando della Brigata Basilicata informa il Maggiore Messe che l’artiglieria aprirà il fuoco sulla linea Col Fenilon – Col Moschin e lo continuerà fino alle 22:00, ora in cui il reparto , unitamente ad una compagnia del "Nucleo Arditi" del 91° Fanteria, dovrà muovere all’assalto del Fenilon. All’ora prestabilita l’artiglieria allunga il tiro e le due compagnie comandate dal Cap. Zancanaro e dal Cap. Rosone del IX Reparto d’Assalto (400 uomini) più il 91° avanzano. L’oscurità è totale, la nebbia è fitta ed il lanciafiamme unitamente ai petardi fanno assumere un aspetto demoniaco alla battaglia squarciando la notte ed al grido di "Vendicare Pinca!" la lotta si fa terrificante.
Le Fiamme Nere ripetono il loro grido di guerra, che è la parole d’ordine per riconoscersi nell’oscurità, il nome del loro maggiore "Messe!, Messe! E’ solo un urlo, ma incute terrore al pari delle bombe a mano che esplodono e dei pugnali che si abbattono sull’avversario. Il Fenilon è occupato, il nemico impossibilitato alla fuga si arrende. Rimangono prigionieri 5 ufficiali e 80 uomini di truppa. Nella notte verso le 03:00 arriva un battaglione del 92° Fanteria (Ten. Col. Moni) che dà il cambio al IX reparto d’assalto rilevando Col Fenilon.
Dopo un breve riposo di un’ora il comando della Brigata Basilicata comunica che urge riconquistare il Col Moschin a qualunque costo. L’artiglieria eseguirà un tiro di repressione fino alle 07:00, ora quando all’allungamento del tiro.dovrà corrispondere lo scatto degli Arditi. Alle 6 del 16 giugno le "Fiamme Nere", dai rovesci del Fenilon, raggiungono la rotabile sottostante che guarda la Valsugana e si portano sulla selletta di Col Moschin. All’ora prefissata e ancora sotto il tiro dell’artiglieria volano verso la conquista del colle. Ancora una volta al loro grido di guerra "Messe! Messe!" ingaggiano una breve e cruenta lotta a colpi di pugnale e bombe a mano ed in soli 10 minuti raggiungono la quota distruggendo e annientando ogni resistenza nemica. La preda è magnifica: 27 ufficiali, 250 uomini di truppa, 17 mitragliatori, un camioncino da trincea, 2 batterie da montagna ed una colonna di 20 muli con tutto il loro munizionamento oltre a numeroso materiale bellico di ogni specie. Il IX Reparto d’Assalto si riporta sui rovesci di quota 1318 e di là in seguito sulla testata della Valle dei Spini. A sera si conteranno 6 morti e 81 feriti. Di là poi scenderanno nuovamente a Pove per un breve riposo.
Nel volgere di 24 ore, la linea di resistenza sul versante occidentale del Grappa era stata perduta dal IX Corpo d’Armata e riconquistata dal IX Reparto d’Assalto, che aveva condotto tre assalti vittoriosi nell’arco di 18 ore. Gli assalti del IX furono tra i più efficaci di tutta la guerra italiana, perché sferrati da un reparto bene addestrato e dal morale elevato, nel momento giusto e col massimo dei risultati. Una controprova della valenza del IX si ebbe il 24 giugno, quando l’unità venne lanciata contro l’Asolone, ben presidiato e protetto da un forte fuoco di artiglieria.
Racconta il Tenente Businelli: "Mi trovo dinanzi a nuovi reticolati nemici e, quel che più importa, esposto ad un infernale tiro di mitragliatrici che tracciano nell’aria una tagliente lama d’acciaio contro la quale si stroncano inesorabilmente tutti i coraggiosi. E, come se non bastasse, le artiglierie nemiche battono ora la cima dell’Asolone nel disperato tentativo di tenerla a costo di annientare tutto e tutti, italiani e austriaci. Le perdite sono considerevoli; i reticolati intatti non hanno lasciato passare che pochi fortunati; dalle trincee munitissime ed efficienti le Schwarzlose fitte fitte sgranano il loro rosario di morte, mentre i nemici, numerosissimi, si difèndono lanciando un’enorme quantità di bombe a mano. La nostra artiglieria non ha prodotto alcun danno alle trincee nemiche ben munite e le ondate d’assalto s’infrangono, impotenti, contro la granitica difèsa".
A prezzo di forti perdite, il IX reparto riuscì ad arrivare sulla vetta dell’Asolone cacciandone gli austriaci, ma non riuscì a resistere al fuoco d’artiglieria ed ai contrattacchi e dovette cedere il terreno conquistato. Nel combattimento aveva perso 19 Ufficiali e 410 Arditi, circa la metà della sua forza.
Successivamente, il 25 ottobre il IX fu lanciato contro il Col della Beretta e lo conquistò facendo 600 prigionieri, ma fu lasciato solo a contrastare i contrattacchi nemici e l’intenso fuoco di artiglieria e quindi fu costretto a ripiegare avendo perso metà dei suoi uomini. Ancora una volta erano mancate le munizioni e non erano arrivati i rincalzi, tanto che gli Arditi di Messe poterono resistere per un certo tempo sulle posizioni conquistate solo facendo uso delle armi e munizioni austriache catturate.
Il 29 ottobre, il IX reparto, affrettatamente rinsanguato con complementi, fu di nuovo buttato contro il Col della Beretta nel quadro di un’operazione offensiva assai complessa, ma poté solo farsi massacrare senza risultati. In due giornate di combattimento aveva perso 28 Ufficiali e 305 Arditi, rimanendo con 3 Ufficiali e 100 Arditi.
Per il ciclo operativo 15 giugno 1918 - 26 ottobre 1918, la Bandiera del IX fu decorata di Medaglia d'Argento al Valor Militare.
Al termine del conflitto, il IX fu sciolto, dicembre 1918 e ricostituito nel giugno 1919, a Roma, agli ordini del maggiore Parisi prima e del Tenente Colonnello Messe poi.
Inviato in Friuli nell’aprile del 1920, fu quindi impiegato in Albania da giugno ad agosto e, quindi, di nuovo in Friuli fin quando, nel novembre del 1920, fu definitivamente sciolto.
Con Decreto del 5 giugno 1920 (Senza Numero), Vittorio Emanuele III concesse la Croce di Cavaliere dell’ORDINE MILITARE DI SAVOIA all’Arma di Fanteria. In applicazione del citato Decreto il Re autorizzò diversi reggimenti a fregiare delle relative insegne i rispettivi labari e bandiere, tra cui il XXIII Reparto d’Assalto per sé e per tutti gli altri reparti d’assalto.