RIASSUNTO ANNO 1918
LA SPAVALDA OFFENSIVA E L' UMILIANTE 15 GIUGNO - IL PIAVE
LA PREPARAZIONE DEL NEMICO ALL'OFFENSIVA DI GIUGNO - GLI
SPAVALDI PROCLAMI AUSTRIACI - LE FORZE ITALIANE ED AUSTRIACHE - L'AZIONE
DIMOSTRATIVA SUL TONALE - LA GRANDE BATTAGLIA DALL'ASTICO AL MARE - LE VICENDE
DELLA LOTTA NELLA GIORNATA DEL 15 GIUGNO - ALLA CAMERA: I DISCORSI DEGLI
ONOREVOLI TURATI ED ORLANDO - I DISCORSI DI DIAZ E DEL RE
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Nella seconda metà di febbraio, a Bolzano, presente LUDENDORFF, fu
discusso il piano di una grande offensiva austriaca contro l'Italia, proposto
da ARTURO VON ARZ, BOROEVIC VON BOJNA, i generali più noti alle folle
tedesche, austriache ed ungheresi, e da CONRAD VON HÓTZENDORF. Era
quest'ultimo che aveva studiato da lunghi anni il modo d'invadere l'Italia
marciando attraverso gli Altopiani; era lui che nella primavera del 1916 aveva
concepito la "spedizione punitiva" (Strafexpedition)
contro l'odiata Italia; e allora non ne aveva accettato il fallimento.
Questa volta, dopo la disfatta di pochi mesi prima dell'esercito italiano a
Caporetto, Conrad e gli oligarchi dei massimi Imperi d'Europa si riunivano per
sentenziare la morte dell'Italia traditrice, tutti intenzionati di ripetere i
fasti del 1849.
Quest'offensiva doveva necessariamente ottenere risultati definitivi. E li
avrebbe avuti se il nemico avesse impiegato un numero maggiore di truppe e
d'artiglierie, se l'antagonismo tra Conrad e Boroevic non avessero reso
impossibile l'attuazione del piano originario, se non si fossero combattute,
invece di una sola, due battaglie, una sul fronte montano, l'altra sul Piave,
e principalmente se gli Austriaci non avrebbero avuto di fronte un esercito
dotato di un morale elevatissimo, di un valore a tutta prova, animato dal
fermo proposito di non cedere e dall'intenso desiderio di vendicare Caporetto.
E se vogliamo essere meno retorici, la lotta "patriottica" era ormai
una lotta per la "sopravvivenza". Questo ormai lo avevano capito
tutti, dal modesto alpino italiano che si trovava sulle nevi dello Stelvio a
difendere il baluardo della Lombardia e quindi Milano dove voleva entrare
trionfalmente von Arz e Conrad, fino al decorato grande ammiraglio che
sorvegliava le acque del Paive e della laguna, dove già gli austriaci
pregustavano la trionfale entrata a Piazza San Marco a Venezia.
Secondo le deliberazioni di Bolzano, l'offensiva doveva esser preceduta da
forti azioni dimostrative al Passo del Tonale e nelle Giudicarie (per scendere
su Brescia) e in Val Lagarina (per scendere su Verona) ma anche per richiamare
verso quella parte l'attenzione; mentre l'attacco principale doveva essere
sferrato a cavallo del Brenta da Val Canaglia al Monte Pertica e doveva
raggiungere nella prima giornata l'orlo dell'altopiano (per poi scendere sul
Vicentino); altri attacchi dovevano effettuarsi, uno in direzione del Montello
con obiettivo la ferrovia Montebelluna-Treviso da raggiungere fin dal primo
giorno; l'altro obiettivo nel basso Piave in direzione della linea
Treviso-Mestre; infine il tratto Monte Pertico-Montello doveva cadere da solo,
per effetto dell'intera manovra.
L'offensiva austriaca fu oggetto di una lunga, minuta e scrupolosa
preparazione organica, tecnica e morale. Particolarmente accurata fu la
preparazione morale, persuadendo le truppe, che la responsabilità della
guerra era tutta dell'Intesa, fomentando l'odio contro l'Italia
"traditrice", lusingando i soldati con il miraggio della pace e del
bottino, predicando la superioritá delle armi e del valore dell'esercito
austro-ungarico, spargendo maligne e false informazioni sul
"bestiale" trattamento fatto dall'Italia ai prigionieri austriaci,
questo per impedire che i propri soldati si arrendessero.
Di questa preparazione morale fanno fede molti documenti sequestrati allo
stesso nemico. "Difensori
della patria ! -
diceva in un suo proclama il maresciallo SORELIC alla 42a divisione - Dal
mare Adriatico alle Alpi svizzere il nostro Sovrano attacca con tutte le
nostre forze armate il nemico, che invano tenta con tutte le sue astuzie di
prolungare la guerra. Là, di fronte a voi, sui baluardi nemici, sul ciglio
dei boschi che voi scorgete, vi attende la gloria e l'onore; vi attendono un
ottimo vitto, un magnifico bottino ed oltre a ciò anche la pace. Difensori
della patria ! Fate tutti il vostro dovere, non risparmiate il nemico
maledetto e con l'aiuto di Dio sopportate quest'ultimo sacrificio per il
Sovrano e per la libertà della nostra bella patria !"
In un pro memoria
emanato dal Comando della 14a divisione di fanteria e che doveva servire
all'istruzione delle truppe, era detto: "La
lunga durata della guerra deriva dalla brama dei nostri nemici di rubarci e
distruggerci non solo il territorio, ma la libertà, la prosperità, le nostre
buone istituzioni, la nostra felicità familiare La nostra situazione militare
è splendida, e i nostri fedeli alleati, specie la Germania, marciano di
vittoria in vittoria; quindi la durata della guerra è limitata e non dipende
che dall'ulteriore nostra tenace resistenza e dalla salda compattezza .... La
nostra offensiva contribuirà efficacemente a far finire la guerra se
ricacceremo nuovamente il nostro nemico ereditario, il fedifrago italiano, e
se penetreremo profondamente nel suo territorio. Siamo però senza l'aiuto dei
nostri fratelli tedeschi, dobbiamo contare solo sulla nostra forza, ma noi
riusciremo egualmente a vincere, proprio come i Tedeschi, perché siamo
valorosi e resistenti come loro. I Tedeschi seguiranno con interesse le nostre
battaglie e si tratta perciò di dimostrare loro quanto possiamo fare e quanta
forza è ancora in noi .... Non darsi prigionieri. Gli Italiani trattano
malissimo i prigionieri specialmente i tedeschi e gli ungheresi. Feriti
gravissimi furono operati in condizione di piena coscienza, senza anestetici.
È un fatto accertato da invalidi restituiti. I prigionieri debbono lavorare
duramente. I tedeschi e gli ungheresi sono inviati di preferenza nelle miniere
di zolfo in Sicilia (a 40 gradi di calore) .... Ogni uomo sappia bene che
l'attuale nostra offensiva è il colpo più violento, forse il decisivo e
ultimo contro gli Italiani. Se noi tutti ci renderemo conto che dobbiamo con
la forza ad ogni costo strappare l'iniziativa al nemico che ci fronteggia, si
avrà la pace, e il contegno delle nostre armate da 46 mesi sempre gloriose, e
i molti sacrifici fatti non saranno stati vani".
Ma specialmente sul ricco bottino insistevano i comandanti dei reparti
parlando ai soldati. Il colonnello MITTEREGER in un "ordine
riservato" diretto al 3° reggimento fanteria spiegava: "Si
tratta di travolgere al più presto la zona di combattimento munita dal nemico
per passare dai disagi dell'interminabile guerra di posizione ad una libera
guerra di movimento che ci porterà in un paese ricco ed in mezzo a grosse
quantità di rifornimenti dell'esercito nemico".
Ed erano pure dati (convinti di averci già messo su le mani) ammonimenti che
il ricco bottino non sarebbe stato sperperato. Lo stesso colonnello MITTEREGER,
in un ordine agli "ufficiali del servizio di requisizione"
(lo avevano creato appositamente!), ammoniva:
"Si osservi il
principio che la truppa mangi e beva abbondantemente, ma non devasti.
Ricordiamo gli spettacoli ripugnanti dell'offensiva d'autunno botti sfondate
nelle cantine allagate, buoi e maiali sgozzati dei quali soltanto qualche
parte furono utilizzate, depositi e botteghe svaligiate; pensiamo anche alle
nostre famiglie nel paese. Non si devastino le fabbriche e gl'impianti. Non si
calpestino a bella posta i campi e non si falcino per fare giacigli". Le
stesse cose diceva il pro-memoria sopraccitato: "Provviste di viveri,
vino ecc., che si rinvenissero nell'ulteriore corso dell'avanzata, non siano
distrutte senza scopo; rimpinzarsi sì, ma non sciupare, non ubriacarsi.
Spiegare il ripugnante contegno tenuto durante l'avanzata dell'autunno 1917 e
come, in conseguenza di esso, per molto tempo, invece di mangiare bene ed
abbondantemente, dovemmo accontentarci di vivere con poco. L'interno ha
penuria di vettovaglie. Dobbiamo quindi assolutamente, finché possibile,
contare sul paese occupato per non dover ricorrere alla madre patria. Nutrire
i cavalli con il disponibile, ma non lasciarli, come nell'autunno del 1917, in
libertà nel fieno e nella paglia. Foraggiare con granaglie è vietato,
perché a partire dal mese di luglio non vi sarà più rifornimento alle
spalle di farine per il pane".
Odio, burbanza,
altezzosa sicurezza di vincere, speranza di pace, visione di ricco bottino,
ricordo del valore e dei fasti del passato (dalla Restaurazione in poi),
sprezzo del nemico, furono gli argomenti di cui, a coronamento della
preparazione morale, si servirono CONRAD e il BOROEVIC per i proclami che alla
vigilia della battaglia lanciarono alle proprie truppe.
Quello di CONRAD era così concepito: "Soldati!
Per mesi e mesi, resistendo virilmente tra i ghiacci e le nevi, compiendo
fedelmente tutti il vostro dovere in mezzo alle tempeste dell'inverno, voi
guardavate alla pianura soleggiante d'Italia. È venuto ora il momento per
scendervi! Il vostro valore, provato da tutti i campi di battaglia, non
conoscerà ostacoli. Come terribile uragano voi spezzerete il falso e
spergiuro alleato di una volta, insieme agli amici che egli ha chiamato in
aiuto. Voi mostrerete al mondo che nessuno può resistere al vostro eroismo. I
vostri padri, i vostri nonni, i vostri avi, con questo spirito hanno
combattuto e vinto lo stesso nemico. Io sono certo che voi non sarete da meno.
Anzi li supererete. Mai più l'Italia deve poter stendere l'avida sua mano
verso le nostre magnifiche Alpi e verso le nostre coste e i nostri porti ai
quali sono legate da un eguale amore e da eguali interessi tutte le nostre
nazionalità. La prosperità in avvenire, l'onore della vecchia, grande cara e
comune patria è nelle vostre mani. La sua gloria sarà la vostra. Insieme con
voi, con tutto il cuore, seguirò le vostre gesta e sarà un'irresistibile
corsa alla vittoria. Confidando fermamente in voi, io vi lancio il grido:
Spazzate tutto davanti a voi !".
Il proclama di
BOROEVIC era il seguente: "Il
nostro Re attacca oggi dall'Adriatico fino alle Alpi svizzere con tutte le sue
forze il nemico che, per il suo tradimento, prolunga la guerra. Davanti a voi
sono le posizioni nemiche; è là che vi attendono la gloria, l'onore, buoni
viveri, un abbondante bottino di guerra, e soprattutto la pace finale !
Soldati! Fate il vostro dovere come avete sempre fatto; non risparmiate il
vostro nemico e consentite, con l'aiuto di Dio, all'ultimo sacrificio per il
vostro re e la libertà della vostra bella patria".
Alla vigilia
dell'offensiva nemica, lo schieramento e le forze dell'esercito austroungarico
erano i seguenti: dallo Stelvio al Fener stavano le 37 divisioni del gruppo
del maresciallo CONRAD, dal Fener al mare le 23 divisioni del Maresciallo
BOROEVIC.
CONRAD aveva dallo Stelvio all'Astico la X Armata del generale Krobatin, la
quale aveva 8 divisioni in linea e 2 in riserva d'armata; e dall'Astico a
Fener l'XI del generale Schescheusteul con 15 divisioni in linea e 8 in
riserva d'armata; aveva inoltre 4 divisioni in riserva di gruppo.
BOROEVIC aveva la VI Armata dell'Arciduca Giuseppe da Fener ai ponti della
Priula con 4 divisioni in linea e 4 in riserva d'armata; e la V del generale
Wurm dalla Primula al mare con 11 divisioni in linea e 4 in riserva d'armata;
1 divisione formava riserva di gruppo. Sulle retrovie nemiche si trovavano
inoltre altre 13 divisioni. Potente era l'artiglieria di cui l'avversario
disponeva: 1900 bocche da fuoco campali sull'Altopiano, 950 nel settore del
Grappa, 575 nel settore del Montello, 1580 sul basso Piave; in complesso dall'Astico
al mare circa 5000 pezzi campali e di medio calibro, oltre le artiglierie di
grosso calibro (fra cui i pezzi da 420) e quelle da trincea.
Di contro alle truppe nemiche stavano 50 divisioni italiane, 3 britanniche, 2
francesi ed 1 cecoslovacca. Dallo Stelvio al Garda c'era l'Armata delle
Giudicarie (VII) del generale TASSONI, composta di 7 divisioni; nel settore
Garda-Sculazzon l'Armata degli Altipiani (VI), comandata dal generale MONTUORI
e la componevano 9 divisioni, fra le quali erano le 5 franco-inglesi; dal
Brenta a Pederobba, l'Armata del Grappa (IV), di 7 divisioni, comandata dal
generale GIARDINO, che era stato sostituito dal Di ROBILANT a Consiglio
Superiore di Guerra; da Pederobba a Palazzon, l'Armata del Montello (VIII) di
4 divisioni, comandata prima dal generale PENNELLA e dopo il 20 giugno dal
generale CAVIGLIA; e da Palazzon al mare l'Armata del Piave (III) del DUCA D'AOSTA,
di 6 divisioni. Le altre 19 divisioni costituivano la riserva generale: 10 di
esse formavano la IX Armata al comando del generale MORRONE ed erano alle
dirette dipendenze del Comando Supremo; 9 erano presso le armate, ma pur
sempre a disposizione del Comando Supremo; quest'ultime erano la 1a e 2a
Divisione d'Assalto e le divisioni di fanteria 21a, 22a, 54a, 52a, 24a, 48a e
53a. Tre divisioni di cavalleria (2a, 3a, e 4a, erano tenute presso la zona
d'operazione. Alle 2850 bocche da fuoco campali del nemico (escluse le
artiglierie di medio e grosso calibro) schierate nel settore montano, i
Grigioverdi contrapponevano, 1292 pezzi campali e 984 pesanti; alle 2155
avversarie del basso Piave erano di fronte 1035 bocche da fuoco campali e 826
pesanti.
L'AZIONE
DIMOSTRATIVA SUL TONALE
LA GRANDE BATTAGLIA DALL'ASTICO AL MARE
LA LOTTA NELLA GIORNATA DEL 15 GIUGNO (l'attacco)
Secondo il piano dell'offensiva, le operazioni principali, fissate per il
15 giugno, dovevano esser precedute da azioni dimostrative ad ovest dell'Astico.
Queste erano state affidate alla X Armata di Krobatin e fra gli scopi avevano
quelli di conquistare il saliente delle testata della Valtellina, raccorciare
il fronte, richiamare da quella parte reparti italiani e assicurare il
possesso di ottime basi per le operazioni offensive successive contro la
Lombardia.
All'alba del 12 giugno il nemico iniziò un violentissimo fuoco d'artiglieria
sul fronte dallo Stelvio all'Adamello; più intenso fra la punta di Ercavallo
e la rotabile del Tonale. La reazione italiana fu immediata: le batterie
aprirono un fuoco altrettanto violento contro le batterie avversarie, che,
dopo alcune ore, tornarono in silenzio.
Ma nelle prime ore del giorno dopo il bombardamento nemico ricominciò e,
circa tre ore dopo, le fanterie austriache della 1a divisione, ripartite in
numerose colonne, snodate alla loro volta in nuclei secondo la nuova tattica
germanica, si lanciarono all'attacco sulle pendici di Cima Cady, tenute da una
catena di piccole postazioni italiane e sulla dorsale di Monticello.
Alle ore 3, prima dell'alba del giorno 15 giugno, il nemico iniziava
contemporaneamente con violenza inaudita il bombardamento dell'intero fronte
italiano dall'Astico al mare. Durò quattro ore, ma fu prevenuto da un
formidabile fuoco di contropreparazione italiano (vedi più avanti, come), che
distrusse le sue linee ed i suoi ricoveri, martellò i suoi ammassamenti di
truppe, avvelenò le sue artiglierie con lo stesso gas delle loro granate
esplose nelle proprie postazioni, sorprese e sconcertò il nemico,
abbassandone il morale e facendogli credere che il fuoco italiano era la
preparazione di una poderosa -sconosciuta- offensiva.
L'attacco vero e proprio delle fanterie austriache (come prescriveva il
noto "manuale") avvenne tra le 7 e le 8 del mattino, ma l'impeto
delle masse lanciate all'assalto delle postazioni italiane non fu per nulla
travolgente come avrebbe dovuto essere. Le truppe che dovevano "Spazzare
tutto davanti a loro", dopo quattro ore dall'inizio della più grande
battaglia imperiale, erano già in crisi di sfiducia prima ancora di iniziare.
Ma cos'era accaduto?
Che i soldati italiani questa volta erano più che pronti a riceverli. ARMANDO
DIAZ - a parte la diversa concezione di comando rispetto a Cadorna- aveva
fatto tesoro dell'esperienza di Caporetto. Non concentrò in un solo settore.
Schierò 26 divisioni in prima linea a contenere l'iniziale urto con il
nemico; ne dislocò 4 in riserve settoriali, e ne tenne ben 13 in riserva
centrale. Un parco di 6000 autocarri era tenuto pronto in un paesino del
Veneto per assicurare il rapido trasporto nei settori più minacciati, dove
più che le ipotesi, solo la vera e propria battaglia avrebbe rivelato le vere
intenzioni del nemico.
Ma la strategia veramente vincente fu quella di abolire le trincee continue e
i fanti furono addestrati a difendersi elasticamente su una profonda fascia di
terreno, in capisaldi tra loro distanziati, ognuno dei quali - nel momento
ritenuto utile al proprio assalto - poteva chiedere direttamente a suo favore
l'intervento dell'artiglieria. Così ogni più piccolo reparto, esaltato nella
sua individualità tattica, poteva assumere nel corso della battaglia le più
tempestive e positive iniziative, evitando i macelli - come quelli di Cadorna-
in attacchi che già in partenza si rivelavano suicidi e purtroppo inutili.
Ora sotto Armando Diaz, erano loro (comandanti di plotoni, di squadre o di
drappelli) a valutare la forza del nemico, e se era il caso (comportandosi da
veri e propri comandanti) di muoversi, di unirsi ad altri capisaldi, oppure
arretrare per riorganizzarsi.
Lasciare morti sul terreno poteva essere eroico, ma indeboliva materialmente
sempre di più l'esercito italiano e moralmente quelli ancora a disposizione
destinati ad un altro macello.
I servizi informativi degli ultimi giorni avevano già tempestivamente
rivelato le intenzioni del nemico, non si sapeva esattamente il giorno e l'ora
esatta. Ma ci si mise la fortuna, il giorno prima fu catturato un ufficiale, e
da lui si seppe l'ora esatta in cui sarebbero iniziati i tiri di preparazione
per l'attacco: le ore 3 del mattino del 15 giugno.
Avendo perfetti collegamenti con tutte le artiglierie già predisposte e con
una grandissima quantità di munizioni (90.000 pezzi per ogni giorno), fu
ordinato a tutti i settori di scatenare con mezz'ora di anticipo -cioè alle
2,30 - la contropreparazione. Fare una "sorpresa" della loro
"sorpresa".
Fu la grande giornata dell'Artiglieria. Non per nulla la loro festa si celebra
proprio il 15 giugno.
Furono così investiti improvvisamente comandi, osservatori, schieramento
d'artiglieria, nodi di comunicazione, i rincalzi, e le masse di fanteria
pronte all'invasione.
Gli austriaci scompaginati prima ancora di fare l'attacco (con uno
schieramento tutto offensivo) ebbero la sensazione che l'Italia stava
sferrando una imprevista offensiva e cercarono subito di limitare questa per
mettersi - pur nel caos- immediatamente in parte sulla difensiva.
Non era proprio un'offensiva quella italiana, ma la sua fanteria ebbe la
certezza che la propria artiglieria da sola aveva mandato all'aria il tanto
ottimistico piano austriaco, e che il nemico non era nemmeno partito, o se si
era mosso lo stava facendo con alcune difficoltà; e in queste condizioni non
avrebbe certamente impedito alla fanteria italiana di resistere per un paio di
giorni, fino all'arrivo delle Divisioni di riserva che così individuando i
territori attaccati più strategici, in due-tre giorni capovolsero l'esito
della battaglia. I 6000 camion fecero il loro dovere e la rivalità di Conrad
e Boroevic fece il resto.
Con maggior violenza fu invece l'attacco austriaco fra l'Astico e il Brenta,
dove operavano le truppe dell'XI Armata Austriaca (di Conrad), fronteggiate
dalla VI Armata Italiana, schierate con il corpo d'armata britannico a
sinistra (2 divisioni in linea e una in riserva a Coltrano), con il corpo
d'Armata francese al centro (una divisione in linea ed una in riserva a
Breganze) e con il XIII corpo italiano alla destra. Nel tratto del fronte
tenuto dagli Inglesi, attaccato con molta violenza, il nemico riuscì ad
aprirsi il varco in alcuni punti: ma, il tempestivo ed efficace intervento
dell'artiglieria del X corpo e di reparti della brigata "Casale",
che formava l'estrema destra della I Armata, e poi un vigoroso contrattacco
delle truppe britanniche, arrestarono prima i progressi del nemico poi lo
ricacciarono sulle linee di partenza, catturandogli un migliaio di prigionieri
e 7 cannoni.
Nel settore tenuto dai Francesi, gli Austriaci riuscirono ad avanzare oltre il
saliente di Pennar, ma, furono qui trattenuti da un poderoso concentramento di
fuoco e nel pomeriggio ricacciati da un contrattacco del 78° fanteria; un
attacco, sferrato verso sera, s' infranse, contro la resistenza francese.
Nel settore del XIII corpo italiano dove violentissimo era stato il
bombardamento, che aveva distrutto le difese italiane avanzate, il nemico,
favorito dalla nebbia e dai gas fumogeni, riuscì a fare notevoli progressi,
giungendo a Cima Echar e a Buso del Termine; ma qui dovette fermarsi per la
fiera, resistenza italiana, che durante tutto il giorno e fino a sera
inoltrata respinsero in furibonde mischie i ripetuti assalti degli avversari.
Anche nella zona di Col del Rosso, e Col d'Echele gli Austro-ungarici
all'inizio progredirono, ma, non riuscirono, nonostante i loro sforzi, a
impadronirsi di Pizzo Razea e negli altri punti furono contenuti. Contenuti
allo stesso modo o respinti furono gli Austriaci che attaccavano le difese
avanzate di Val Frenzela e di Val Brenta presidiate dalle truppe del XX Corpo
d'Armata.
Infiniti furono gli episodi d'eroismo cui diede occasione questo primo giorno
dell'offensiva austriaca sul fronte tra l'Astico e il Brenta. Degna di
speciale menzione l'opera del capitano BRUNO GEMELLI del 13° Fanteria nella
difesa della ridotta di Cima Echar, nella riconquista di Costalunga e
nell'epica lotta da lui e da cinquanta soldati, sostenuta e vinta, contro un
battaglione di arditi ungheresi, azione che all'eroico combattente, colpito
alla fine della giornata da una granata nemica, valse la medaglia d'oro al
valor militare.
Non meno violento che sul fronte tra l'Astico e il Brenta fu l'attacco
austriaco nella regione del Grappa, presidiata a sinistra dal IX Corpo
d'Armata, al centro del VI e a destra del I. Favoriti sempre dalla nebbia, gli
Austriaci, nonostante l'accanita resistenza sulla sinistra del settore
italiano, riuscirono ad impadronirsi di Col del Miglio, del Col Fagheron, del
Col Fenilon e del Col Moschin e fecero qualche progresso sull'Asolone. Ma alla
fine della giornata partì alla riscossa l'eroico IX Reparto d'Assalto per
contrattaccare il nemico, il quale, spezzata la linea marginale e marciando
contro Col Raniero, minacciava di avvolgere tutto il IX Corpo d'Armata.
L'azione del IX Reparto, comandato dal maggiore GIOVANNI MESSE, fu fulminea:
la 1a compagnia, al comando del prode capitano UMBERTO PINCA, che vi perdette
la vita, attaccando con impeto straordinario, in pochissimo tempo snidò il
nemico dal Palazzo Negri e dalle Case del Pastore e del Brigante e liberò
dall'accerchiamento la quota 1318, dove alcuni uomini del Genio con piccoli
reparti della brigata "Abruzzi" resistevano ancora; la 2°
compagnia, attaccando con lo stesso impeto, riconquistò il Fagheron e dopo un
violento corpo a corpo ricacciò gli avversari dall'osservatorio di San
Giovanni. Il IX Reparto d'Assalto non si concesse che poche ore di riposo:
alle 9 della sera uscì dalle riconquistate trincee del Fagheron per
rioccupare il Col Fenilon, animato da una ferrea volontà di riuscire ad ogni
costo, qualche ora dopo il maggiore Messe poteva scrivere al Comando della
Brigata Basilicata:
Approvato l'esercizio provvisorio e decisa la sospensione della Camera fino
a settembre, prese a parlare l'on. TURATI, che con un breve discorso ispirato
all'amor patrio, alla resistenza e alla concordia, suscitò vivo entusiasmo in
tutta l'assemblea:
Grandi applausi accolsero la fine del discorso del presidente del Consiglio
quindi si votò per appello nominale l'ordine del giorno dell'on. Aguglia che
approvava le dichiarazioni del Governo. La votazione ebbe il risultato
seguente: votanti 316, maggioranza 159, favorevoli 282, contrari 34.
Nel frattempo, sul fronte la battaglia riprendeva accanita.